martedì 17 giugno 2008

TITO TEDESCHI - ARTISTA PER MIRACOLO


Artista per...miracolo.
Tito Tedeschi nacque nel 1940 a Oria in provincia di Brindisi - cittadina dell'entroterra pugliese - ove risiedeva la madre. Quasi subito travagliato da una serie di mali, che a diagnosi del dott. Del Prete erano oscuri alla medicina, si sentenziò la morte. La disperazione dei genitori di fede cristiana, li spinse ad appellarsi a S. Antonio, chiedendo la grazia. La pietosa invocazione fu accolta dal Santo e Tito, all'età di 18 mesi, tornò a vivere guarito. Questo bimbo miracolato fu vestito da fraticello Francescano, a rispetto della promessa fatta dai genitori. Per lunghi anni il saio diventò il suo unico vestito, fin quando, ridotto ad un cencio di toppe, fu bruciato; era l'anno 1948. Sempre nello stesso anno, a Bastia, morì suo padre dopo aver contratto la malaria a Metaponto, dove prestava servizio presso la Polizia Ferroviaria. La casa, a Bastia Umbra, si raggiungeva percorrendo Via S. Lucia, una strada sassosa fiancheggiata da ripe guarnite di rovi, arbusti e fiori di biancospino; ai margini della via sorgeva qualche casa, mentre lontano si intravedeva qualche casolare immerso tra gli alberi e tra il verde della natura. Questa semplice borgata ha visto giocare e crescere Tito, insieme ad una manciata di suoi coetanei. I loro divertimenti erano ingenui: una palla fatta di stracci, una fionda, un cerchio di ruota di bici privo di raggi; ma d'altronde, cosa si poteva pretendere in quel mondo povero di tutto? Impastare e modellare la terra dei campi era il divertimento preferito dal piccolo miracolato. Colorava ogni suo lavoro con la polvere ricavata dai mattoni finemente triturati, tra cui anche dei piccoli busti che ritraevano suo padre. Questo gioco per Tito non è mai terminato poiché dalla terra passo a scolpire il legno, poi il marmo, fino al bronzo, dopo aver impiantato una sua fonderia. Lo stesso si può dire per la pittura rimasta, dopo 50 anni, con il sapore dell'ingenuità di quando era iniziata. Da bambino dipingeva con la bravura dei suoi coetanei, di diverso c'erano soltanto i personaggi; egli dipingeva sempre ed esclusivamente frati­celli nei quali, probabilmente, egli si identificava e ritrovava se stesso. Forse nel suo io rimarrà per sempre vestito con quel saio. Negli anni '60, grazie al suo carattere socievole e intraprendente, divenne pubblici­sta in tutto il territorio nazionale. A quel tempo egli regalò le sue opere a chiunque si dimostrava attratto dalle sue creazioni. Nel 1967, dopo essersi sposato con una ragazza spoletina, orfana da qualche anno di entrambi i genitori, andò ad abitare nella casa di lei; una grossa abitazione in mezzo ad una ridente e verdeggiante campagna. Spoleto, città del Festival dei Due Mondi, lo coinvolse ancor più sentimentalmente nell'arte. Purtroppo, però, erano anni difficili dal punto di vista economico dell'artista Tedeschi e fu solo grazie ad alcuni suoi amici altruisti che riuscì ad esporre qualche opera nelle loro gallerie, visto che non poteva di certo permettersi l'affitto di una sala per esporre. È qui che accadde l'inaspettato. Dell'arte di Tedeschi si accorsero immediatamente le autorità comunali che, mostratesi attratte ed interessate al suo genere, gli offrirono gratuitamente quanto necessario per una dignitosa esposizione. L'anno 1974, contrassegnato dal 17° Festival dei Due Mondi, per Tito Tedeschi segnò l'entrata ufficiale nel campo dell'arte. Espose a cura del Comune di Spoleto, in Via del Mercato nella sala ex Cassina. Quel primo confronto con un pubblico vero fu particolarmente emozionante per l'artista Tedeschi, soprattutto nei momenti in cui riaffiorano ricordi tristi del passato e vecchi sogni infranti; momenti carichi di sofferenza, in cui la mente dell'artista si offusca tra tali pensieri: "Signore, è difficile vivere...è difficile scorgere una luce quando tutto attorno a te è tenebre...è difficile trovare ancora una speranza per credere...è difficile trovare un altro sogno che ti dia la forza di vivere e impedisca di interrompere il cammino...è difficile trovare la forza per ridere ancora quando ti accorgi che qualcosa irrevocabilmente sta morendo dentro di te...vorresti urlare...vorresti innalzare un grido più altro del grido dei gabbiani...ma sappi solo una cosa, ragazzo, il tuo pian­to finirà solo quando imparerai ad amare e ad apprezzare il dono di questa magi­ca vita...solo allora potrai volare in alto...su nel cielo...raggiungerai le stelle...la luce...potrai cantare e rendere grazia...la tua anima si innalzerà libera...e se ti accorgerai che il tuo cuore sta palpitando e anche tu ne sai il perché, bene ragazzo mio, te lo dico io, vuoi soltanto dire: "grazie perché sono felice di esistere". Dalle sue sventure Tedeschi ha tratto l'energia, la forza che non gli ha permesso di arrendersi. Come per magia all'improvviso la gente, i giornali, non facevano che parlare di lui, il grande sconosciuto in un mondo assetato di arrembaggi. La stella del successo iniziò a brillare sopra di lui. Da quel momento Tedeschi vestì ancora più devotamente quello che era ormai dive­nuto il suo saio spirituale e promise a se stesso di onorare l'arte come simbolo Ete­reo di quell'elevatezza spirituale che egli si impegnava a raggiungere. Tedeschi iniziò a fare programmi, a dare spazio alle ambizioni, ai grandi progetti e a tut­to ciò che avrebbe potuto scuotere l'opinione pubblica. Progettò nella sua mente delle sculture in bronzo e in altre leghe. "Un programma utopistico!" qualcuno potrebbe obiettare, dato che non conosceva nulla di quel mondo artigiano carico di impegno, trapelato di sudore, avvolto in un fascino irresistibile. Si mise a studiare e con l'aiuto divino, dopo sei mesi, creò la fonderia sognata. Si cimentò con successo nelle prime fusioni e nelle prime leghe. È difficile da credere, ma nessuno si può vantare di aver insegnato qualcosa a Tedeschi; come sempre è stato e continua ad essere l'unico e vero maestro di se stesso. La Stampa lo definì "Il Geniaccio". ESTRATTO DA UN DOCUMENTO BIOGRAFICO

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