venerdì 11 dicembre 2009

Rumors: Nominato Vescovo di Oria Don Mauro Cozzoli.....

...... dell’Arcidiocesi di Trani, Professore di Teologia Morale alla Pontificia Università Lateranense, proposto alla successione oritana dal collega d’insegnamento, il già vescovo di Oria Marcello Semeraro.
Preghiamo il Signore affinchè sia un Buon Pastore per la Chiesa di Oria e che abbia rispetto non solo delle persone ma anche dei Beni Culturali, a differenza di qualche suo predecessore che ha taciuto di fronte alla distruzione di una necropoli messapica rinvenuta nell'area ex conventuale dei Padri Vincenziani, sul colle oritano denominato "di Sant'Andrea".
A proposito di vescovi e di meccanismi legati alla lora nomina fra quelli che nei secoli scorsi hanno amministrato la Diocesi di Oria, uno in particolare, Luigi Margherita, nativo di Francavilla Fontana, è sospettato di "simonia" (compravendita di cariche ecclesiastiche). Questo particolare è descritto nel libro di Carmelo Turrisi "La Diocesi di Oria nell'800".

[ La notizia della simonia fu comunque raccolta da alcuni autori come il Palumbo e l'Argentina. Il primo parla di 12 mila ducati e mette in risalto lo spirito di arrivismo del Margarita. L'Argentina parla invece di 18 mila ducati offerti al ministro del Culto perchè venisse proposta la sua persona alla Santa Sede per occupare una cattedra vescovile.

Ma non se ne mostra certo, anzi stima l'accusa di simonia “un mendacio calunnioso”:
=I 18.000 ducati-oro se veramente sborsati al Ministro borbonico dei Culti dell'epoca, non implicavano il delitto di simonia, perché serviti ad ottenere che il P. Luigi Margarita della Missione fosse proposto alla Santa Sede per la nomina a vescovo di Oria, come persona meritevole e gradita alla R. Corona di Napoli. Si comprava in effetti la proposta, che poteva anche essere bocciata, e non il beneficio ecclesiastico da chi aveva la facoltà di conferirlo.=
Più attendibile sembra invece l'insinuazione che il governo avesse proposto il Margarita alla s. Sede per le sue tendenze spiccatamente borboniche c che lo avesse destinato ad una diocesi dichiarata da alcuni “nido tradizionale di assolutismo e di prepotenza” e dove certamente tutti i vescovi predecessori avevano dimostrato indiscusso attaccamento ai Borboni. E’ certo che il periodo dell'episcopato del Margarita in Oria è da annoverarsi tra i più agitati e difficili per le situazioni politico-sociali che richiedevano un certo adattamento psicologico al quale egli non era preparato. Perciò non fu in grado di concepire, per Ì vari problemi che si affacciavano alla ribalta della storia, una soluzione diversa dal giurisdizionalismo confessionale borbonico considerato ancora un “caposaldo per l'opera di ricostruzione, di cui appariva così urgente il bisogno“ . Ciò spiega pure quel certo servilismo del Margarita ai Borboni riconosciutogli anche dal nunzio. Ma la monarchia borbonica aveva concluso la sua storia nel Sud e quando scomparve alla fine del '59 non suscitò meraviglia, giacché da tempo si avvertiva di non poter assolvere alla sua missione più oltre. Diverse cause avevano preparato la sua fine: la frattura con la cultura illuministica meridionale che aveva appoggiato spesso il riformismo borbonico credendo, a differenza di altri stati, nella possibilità di una collaborazione ma su basi più democratiche; la crisi dell'istruzione, dell'esercito e della burocrazia, la triste situazione economica che, nonostante i tentativi di riforma, non riusciva a sollevare le condizioni del popolo; e infine la mancanza dì una attenta diplomazia nel campo delle alleanze che la costrinsero a rimanere sempre nel cerchio dell'influenza austriaca. È per questo che il Margarita, borbonico per devozione, cominciò a subire le conseguenze delle sue scelte politiche all'indomani della scomparsa dei Borboni, insieme a gran parte dell'episcopato meridionale. Non mancò chi pensava che i vescovi del Sud avessero aderito al nuovo assetto politico solo per voler pacificare le diverse fazioni. Si trattava, scrive la "Civiltà Cattolica", d'imposture contro di essi:
"Di che poi, secondo il solito, si valsero i sovvertitori per mettere i Vescovi in aspetto di sleali e felloni al legittimo loro Re, lodandoli d'aver aderito al nuovo ordine colà stabilito dal tradimento e dalla forza. Ciò è falsissimo. Assai pochi tra i Vescovi piegarono a tanta viltà, c parecchi, come a cagion d'esempio, l'Ordinario di Altamura, scrissero lettere molto energiche per disdire l'imposture con cui facessi di loro bontà sì perfido abuso, mettendoli in mostra di aderenti alla rivoluzione. Così suole ripagarsi dai tristi la pietà e la carità del clero".
Questa fedeltà dell'episcopato alla causa borbonica, a differenza del basso clero, venne dichiarata anche in una relazione del 18 agosto 1860 al ministro degli Interni:
Un fatto ho da segnalare a V.E. quasi universale, e che in modi più o meno espressi si ripete, in presso che tutte le diocesi del Regno; ed è che i Vescovi si scuoprono, generalmente parlando, avversi al nuovo ordine di cose. Solamente ci ha differenza nel modo, che alcuni fanno allo Statuto una opposizione quasi direi passiva, non consentendo che si svolga con quelle libertà ed in quella maniera, che si ….. ]]
Il Vescovo di Oria, Mons. Luigi Margarita (o Margherita), fu processato insieme al suo segretario Pietro Ferretti, per ostentato spirito reazionario e filoborbonico all'indomani dell'Unità d'Italia.
Altri particolari riguardanti detto vescovo possiamo leggerli nel libro di Pasquale Elia "KAILIA-CAELIA-CEGLIE DEL GAUDO-CEGLIE MESSAPICA. La Storia dalle origini ai nostri giorni:
[[ Nel 1851, successore di S.E. Giandomenico Guida (1833-1848), vescovo nella diocesi di Oria, fu nominato Mons. Luigi Margherita (1851-1888), nativo di Francavilla. Costui ebbe subito nemici nella diocesi e, per farli tacere, li denunziava agli organi di polizia borbonica, quali avversari del re. Tra questi incappò anche l’Arciprete di Ceglie don Domenico Gatti. In un lettera del presule oritano, riservata e personale” inviata il 23 luglio 1852, al Nunzio Apostolico in Napoli, Cardinale Innocenzo Ferrieri, parlando del Gatti scriveva: “….tiene presso di se da anni moltissimi un suo fratello Min.re conventuale Apostata di fatto dalla di lui Religiosa Regola, il quale non avendo fiammai regolarizzato l’atto della sua secolarizzazione perché non si è provvisto né di sacro Patrimonio, né di Chiesa ove servire, né di Regio Exequatur, sono stato in dovere di significargli che ei trovasi incorso già nelle pene fulminate dal Dritto, e quindi che io non potèa permettergli l’esercizio de’Sacri Ministeri……Lo stesso Arciprete suddetto ha fatto vivere in unione illecita due disgraziati, i quali molti anni addietro cercarono di congiungersi in matrimonio, ma perché esisteva tra essi impedimento dirimente, si dichiarò alle parti…..che era necessaria la dispensa da Roma.
Passata una diecina di giorni chiamò le parti e loro fè sentire, che si erano spesi carlini diciotto; e per profittare di tale somma ha fatto vivere finora in concubinato quegl’infelici, perché non mai ne scrisse a Roma!!!…….è ancora unito al vizio del gioco, del concubinato, della bestemmia e di ogni altra nequizia…. Intanto la rivoluzione avanzava velocemente e i vescovi (71 su 88), per timore di rappresaglie, abbandonarono le sedi pastorali e si rifugiarono in altri paesi. Il Margherita lasciò Oria per Francavilla. Nel frattempo i rivoluzionari assalirono il palazzo vescovile, distrussero la cattedra, bruciarono il blasone del Margherita e costrinsero il Provicario Tesoriere Maggio a cedere l’Ufficio. Il Vicario Capitolare della diocesi di Oria, Ciro Pignatelli, il 28 febbraio 1863, denunciò le mene del vescovo e del canonico Vincenzo de Angelis. Costoro fomentavano la parte reazionaria del clero a dichiarare “illegittimi e nulli” i sacramenti amministrati da preti liberali e dalle Autorità ecclesiastiche riconosciute dal governo italiano e approvavano perfino la segreta somministrazione dei sacramenti, la confessione di alcune donne ascoltate nelle case di preti retrivi, la celebrazione di matrimoni e il rifiuto del servizio dell’altare quando officiava un sacerdote liberale. Il vescovo Margherita, unitamente ad altri sacerdoti, fu condannato al domicilio coatto, dapprima a Lecce, quindi a Fenestrelle, in provincia di Torino, dove si ammalò gravemente (pare fino al punto di diventare cieco). Morì a Francavilla Fontana il 15 aprile 1888. ]]

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