venerdì 8 febbraio 2008

Le elezioni anticipate regalano 300 milioni di euro ai partiti



Avete letto?
Le elezioni anticipate regalano 300 milioni di euro ai partiti.
La fine della legislatura non blocca il rimborso per le spese elettorali del 2006. E sono in arrivo nuovi contributi per il prossimo voto La casta non si pente, anzi rilancia. Il voto anticipato farà guadagnare 300 milioni. Di euro.
Questi soldi arriveranno nelle tesorerie sotto la voce “rimborsi elettorali”, che i partiti continueranno a riscuotere nei tre anni che mancano alla fine naturale della XV legislatura. E non finisce qui. I compensi andranno ad accumularsi con i nuovi rimborsi elettorali a cui avranno diritto per il fatto di correre e avere eventuali eletti alle prossime consultazioni elettorali.

I calcoli. Come detto la torta è di trecento milioni di euro, più precisamente 49.964.574,57 euro all’anno per ogni Camera da dividere fra tutti i partiti. Ciò significa un euro all’anno per ogni voto alla Camera e un euro per il Senato, ovvero per ogni cittadino iscritto nelle liste elettorali, anche se non vota, un costo di 10 euro a legislatura, 16 sei si contano le prossime elezioni anticipate.

Il trucco c’è, ma non si vede. O meglio è nascosto tra le pieghe delle norme. Risale al 2006, in carica il governo Berlusconi, ma con rigoroso voto bipartisan, si introduce, con una leggina ad hoc, il solenne principio dell'erogazione del rimborso elettorale anche in caso di scioglimento delle Camere (legge n. 51/2006, art. 39-quaterdecies, comma 2, lettera a).

Difficile non considerare questa mossa un vero e proprio scandalo. Perché fino al 2006 il rimborso era interrotto se si andava al voto. Logica conseguenza del fatto che con la nuova legislatura scatta il rimborso per le nuove spese elettorali.
Ora invece i partiti si prenderanno anche una sostanziosa liquidazione. Tanto paga Pantalone, pardon, i cittadini. E' proprio vero, la democrazia ha i suoi “costi”.

....................................

Pensioni d’oro per i parlamentari

Mentre ai cittadini sono richiesti dei sacrifici, la casta dei politici gode di trattamenti previdenziali di favore. Da 3 a 10 mila euro al mese con soli cinque anni di contributi
Attualmente per andare in pensione sono richiesti 35 anni di contributi e 57 anni di età. E dal prossimo anno, se non ci saranno modifiche legislative, saranno necessari 60 anni di età.

Ma così non è possibile andare avanti. Serve una riforma. Perché con l’allungamento della vita e per il bene della finanza pubblica, occorre smettere di lavorare più tardi.

Riformisti, di destra e di sinistra, di mezzo. Associazioni imprenditoriali, organismi internazionali. Tutti, all’unisono, fermi nell’invocare profondi interventi sul sistema previdenziale.
“Lavorare di più per prendere di meno”. E’ questa la soluzione proposta.
Un sacrificio, ma che salvaguarda il Pil e garantisce la produttività del sistema Italia. Un vero peccato, però, che questo spirito si fermi alle porte del Parlamento.

Il vitalizio dei deputati e dei senatori ha le caratteristiche di un vero e proprio privilegio. Regole e leggi lo dimostrano.
Prendiamo i deputati, per i quali è in vigore un regolamento del 1997. Gli onorevoli, il cui mandato parlamentare è iniziato dopo la XIII legislatura del 1996, acquisiscono il diritto alla pensione a 65 anni di età e con 5 anni (una legislatura) di contributi.
Ma questo trattamento, simil cittadino comune, nasconde il trucco. Il diritto alla pensione è fissato al sessantacinquesimo anno di età, peccato che tale limite si abbassa di un anno per ogni ulteriore anno di mandato oltre i cinque. Sino a raggiungere il traguardo dei 60 anni.

Se vi state incazzando, aspettate. Perché c’è dell’altro. Gran parte dei deputati è stata eletta prima del 1996, cioè prima della riforma. Ciò significa che si ha diritto alla pensione a 60 anni di età, riducibili a 50 utilizzando gli anni di mandato oltre i cinque minimi richiesti. E così con oltre tre legislature – e 20 anni di contributi – è possibile accedere alla pensione con meno di 50 anni!

Non sono da meno i senatori. Anche qui c’è stata una riforma, in base alla quale a partire dalla XIV legislatura del 2001 questi servi Patriae hanno diritto alla pensione a 65 anni e a condizione di aver svolto un mandato di cinque anni.
Ma dietro l’apparenza si cela l’inganno. Ed ecco, infatti, che fioccano le deroghe. Per chi è stato eletto prima del 2001, il cui diritto al vitalizio scatta a 60 anni con una sola legislatura (5 anni), a 55 con due (10 anni) e a 50 con tre mandati (15 anni). Per gli eletti dal 2001, che possono andare in pensione a 60 se hanno conquistato un secondo mandato.

Due anni e sei mesi sono meglio di 35, ovvero via libera alle baby pensioni. Un cittadino per godere della pensione di anzianità deve avere 57 anni, 60 dal 2008, e aver versato contributi per 35. Troppi per deputati e senatori che hanno abbassato il limite contributivo a una legislatura: 5 anni.
Inoltre i parlamentari, per evitare i rischi dell’instabilità politica, con il rischio di chiusura anticipata delle Camere, hanno deciso che sono sufficienti, per aver diritto al vitalizio, due anni e sei mesi. Basta, poi, pagare contributi volontari per i due anni e mezzo mancanti, ma con calma. Onorevoli e senatori possono saldare il debito a fine mandato e in 60 comode rate.

Il metodo contributivo riduce le pensioni. Meglio non utilizzarlo. A partire dal 1996, successivamente alla riforma Dini, il lavoratori hanno abbandonato il vantaggioso calcolo retributivo, che fissava la pensione in base a una media dello stipendio degli ultimi anni di lavoro.
Al suo posto è subentrato il calcolo contributivo che funziona come una polizza. Il reddito pensionistico è pari ai contributi – rivalutati - effettivamente versati. Con il risultato di avere pensioni molto più basse delle attuali di circa il 40, 50%.

A tale rigore i furbetti del Parlamento non hanno voluto soggiacere. Il meccanismo escogitato è stato quello di legare una percentuale a ciascun anno. Per cinque anni di mandato si ha diritto al 25% dell’indennità lorda (12 mila 434 euro): 3.109 euro di vitalizio. Per 10 anni al 38%: 4.725 euro. Per 20 al 68%: 8.455 euro. Infine il gran finale: con 30 anni di mandato si ha diritto a un vitalizio pari all’80% dell’indennità, 9.947 euro al mese.

E per contrastare i pericoli delle spinte inflative è stata introdotta la clausola d’oro, in base alla quale la pensione si rivaluta automaticamente, essendo legata all’importo dell’indennità del parlamentare ancora in servizio.

Il sistema delle pensioni parlamentari costa parecchio alle tasche dei contribuenti. Nel 2006 a Montecitorio sono costate 127 milioni di euro (ci sono 2005 pensionati sul foglio paga), contro 9 milioni 400 mila di contributi versati dai deputati in carica. Situazione simile al Senato dove ogni anno sono spesi per le pensioni quasi 60 milioni di euro a fronte dei 4 milioni 800 mila di entrate contributive. Con il risultato che le casse parlamentari hanno chiuso il 2006 con un buco di ben 174 milioni di euro.

Eppure sull’orizzonte riformista non si staglia alcun urlo di dissenso. Vige, anzi, un silenzio bipartisan. Un comune intento che salva il portafoglio e la vecchiaia di deputati e di senatori. Un po’ meno la faccia...

Per il cittadino comune, preso a tenaglia dal dissesto dell’Inps/dalla vita media che si allunga/dal conflitto generazionale/dalla necessità di creare un sistema di ammortizzatori sociali/dalla necessità di adeguarsi all’Europa, ci sono poche scelte. Sono tre. La prima, il sacrificio della liquidazione. La seconda, lavorare fino alla soglia dei 70 anni. La terza, affidarsi alle rime di Gioacchino Belli:

E pper urtimo, Iddio sce bbenedica,
viè la Morte, e ffinisce co l'inferno.

(tratto da La vita dell'Omo, Sonetti romaneschi)

Fonte: AliceLavoro, www.virgilio.it

Buonanotte......ammesso che riuscite a dormire dopo aver letto questa bella notizia.

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...