mercoledì 26 maggio 2010

Visioni d'estate per turisti curiosi e paesani annoiati. (di Pino Malva)

(del Prof. Pino Malva)
Tutto inizia sempre nelle prime ore pomeridiane o in tarda sera, quando la voglia di andare a letto è vanificata dallo scirocco che ti si appiccica addosso o dal continuo sfrecciare di motori al massimo con fastidiose alternanze di suoni radiofonici.
Il rimedio ai due mali è quello di allontanarsi, di girovagare lasciandosi portare dagli odori dell'aria, impregnata di brezze salmastre e di essenze mediterranee che tradiscono un mare non lontano e di una superstite area di macchia scampata al cemento, o dall'assenza di suoni e rumori che riempie vicoli e piazzette del centro storico dove il silenzio narra di antiche memorie che ti astraggono dal presente, agonizzante d'ignavia. Ed è allora che, all'ombra netta di una loggia, tra due muri accecanti di bianco che, al sud, disegnano rettangoli di piana fuggente verso il mare, o, accovacciati su uno scalone a fissare, attraverso il tondo vuoto di una porta, i bagliori pirici di feste lontane, puoi fare i più strani incontri o ascoltare racconti meravigliosi.
Non quelli della nonna che pure avevano, oltre le aggiunte temporali, un fondo di verità di cui, talvolta, sfuggiva il senso, affascinati come si era dalle colorite avventure paesane, davvero reali, perchè vissute dai parenti dell'uno o dell'altro narratore.
Non i racconti, fantastici ma non tanto, di chi si era arricchito per aver trovato l'occhiatura o aveva perduto la parola per aver visto l'anima ti Diatosiu o lu monucu di S. Giuanni o per aver assistito alla messa ti li Muerti in Cattedrale. Ma storie reali di chi, in tremila anni, ha dato origine all'essenza della tua realtà tangibile, bella e brutta, amata e odiata, di cui non riesci, comunque, a fare a meno.
Non personaggi come le masciare che usavano il libro del comando o che ballavano nel carcere della Torre o sotta allu noci di jaddana; non le serve che avevano acquisito nobiltà cu li tristieddi ti lu patrunu; non i possidenti che avevano perduto la fortuna a zzicchinettu; non i preti ca s'erunu cangiatu la tonaca cu la trinetta o vintalori ca cangiunu sacristia comu cangia lu papa. Ma uomini veri e donne vere che non hanno vissuto storie per inventare una vita, ma hanno vissuto una vita per scrivere la storia.
Ho conosciuto gente straordinaria, strana, forestiera, dagli idiomi diversi eppure comprensibili, dai tratti più vari eppure familiari, che si aggirava come fossero locali, certi della direzione e sicuri delle conoscenze ed a me pareva essere fuori dal tempo nel seguire i loro discorsi, se non ci fossero stati i contorni rassicuranti dei miei luoghi. Quante cose sapevano trasmettere le loro storie e i loro sguardi! Era gente di mare, bruna e possente che raccontava di viaggi, di tempeste e di naufragi; della felicità di una vita ritrovata e della nostalgia di azzurre isole che i figli avrebbero dimenticato.
Era gente d'armi che narrava di battaglie e di stragi, di alleanze e tradimenti, di vergini che sacrificavano agli dei e di altre che sacrificavano agli eroi.
Era gente di Dio che fuggiva per nascondere sacre tavole dipinte nelle grotte; era gente cacciata che cercava asilo ovunque pur di non abiurare il suo antico credo. Era gente dai taglienti occhi di cielo, abile ad innalzare torri e cattedrali e gente dalla pelle ambrata, abile a far fiorire i deserti; era gente dai capelli rossi, facile a sognare e rapida ad agire; era gente pronta a morire per un'idea e gente pronta a vendere i suoi poveri per altri poveri. Poi, una folata di vento, il richiamo di una voce ti riportano alla realtà e tutto svanisce come risucchiato dal tempo.
Ma Oria è sempre qui e dovunque puoi vedere massi cretesi, mura e tombe messapiche, ceppi e colonne romane; santuari pagani e chiese cristiane, grotte basiliane e cripte bizantine; scoprire steli ebraiche e fregi longobardi e ancora torri normanne e angioine; stupire per la mole della fortezza sveva o per i preziosi affreschi delle Stanze Episcopali o per la superba monumentalità della basilica barocca.
Ovunque corre lo sguardo, ti si aprirà il libro della storia e potrai scorgere l'intrepido Idomeneo, il prode Arta, il cartaginese Annibale con la sua Uriana, Teodosio vescovo e l'Anziano di Gaza, il duca Gaiterisio ed il rabbino Amittai, Shabbatai medico ebreo e i fratelli arabi, medici e martiri, l'assassinato vescovo Andrea e l'ostinato Godino, l'indomito Guiscardo e il gran conte Ruggero, Federico stupore del mondo e l'intrepido oritano Tommaso, il Borromeo santo e il Bonifacio perseguitato, fino alla rapace aquila genovese che mai più volò alta sul turrito Castello di Oria.

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