giovedì 3 luglio 2008

L'ORO DI DONGO.........

L'oro di Dongo, un grande mistero italiano.
I fascisti in fuga sul lago di Como avevano un tesoro: 60 anni dopo ancora ombre sulla spartizione. La questione dell'oro di Dongo è uno degli argomenti più spinosi che si possano immaginare perché su di esso sono sorti miti e leggende ancora difficili da sfatare. Ma procediamo con ordine. Innanzitutto, un chiarimento concettuale: per «oro di Dongo» si deve intendere esclusivamente il carico di valori e di preziosi che viaggiava con la colonna dei fascisti e dei nazisti in marcia lungo le rive del lago di Como, alla fine di aprile del 1945. Tutto ciò che esula da questo ristretto perimetro spazio-temporale non è l'«oro di Dongo», è qualcosa di diverso. Per intenderci, qualsiasi preda bellica intercettata e recuperata in altro luogo e in altre circostanze (per esempio, il «tesoro» di Farinacci) è altra cosa. Con il tempo però, è invalsa la cattiva abitudine di associare all'oro di Dongo anche quanto venne ritrovato, per esempio, a Como, a Villa Mantero dove soggiornò Donna Rachele nei giorni dell'epilogo.L'«oro di Dongo», inoltre, non si riferisce soltanto a quanto venne sequestrato ai gerarchi italiani e a Mussolini stesso, perché, come si diceva, la colonna degli automezzi fermata dai partigiani tra Musso e Dongo, il 27 aprile 1945, comprendeva anche reparti militari tedeschi, essi pure dotati di denaro e preziosi.La parte del tesoro che viaggiava al seguito degli italiani era costituita da due fonti diverse: i fondi erariali e i beni personali dei gerarchi. Negli automezzi dei fascisti erano stati stivati, quindi, tanto i denari pubblici quanto le fortune private. L'erario era stato ricostituito dal governo fascista dopo la fondazione della Rsi. La dotazione finanziaria statale era stata infatti azzerata dopo la razzia delle riserve auree della Banca d'Italia compiuta dai tedeschi. Raffaele La Greca, ragioniere dello Stato e capo cassiere della polizia durante la Repubblica Sociale Italiana, raccontò che per ordine di Mussolini il fondo riservato del governo (400 milioni del 1944) venne impiegato per rastrellare tutto l'oro in possesso di orefici e di gioiellieri. L'operazione si era resa necessaria dopo che i tedeschi ebbero fatto incetta dell'oro denunciato in Italia, pagandolo in lire: 3 miliardi dell'epoca. Nel febbraio 1945, la dotazione finanziaria speciale dello Stato consisteva di 66 chili d'oro: questo spiega la ragione per la quale a Dongo fosse giunto metallo giallo in così grande quantità. Bisogna anche aggiungere che non tutto l'erario prese la via del lago di Como. Pochi giorni prima della fuga verso Nord, si era verificato l'assalto alle casse statali: i ministri si erano spartiti tra loro 40 milioni di lire dell'epoca, mentre Pavolini, il segretario del Partito fascista repubblicano, aveva reclamato 10 miliardi per le Brigate Nere: Mussolini, tuttavia, gliene aveva concessi molti di meno. Ma le più grandi leggende storiche costruite attorno a questa vicenda riguardano la destinazione finale del tesoro sequestrato dai partigiani. «Che fine ha fatto l'oro di Dongo?», si sono domandati, e ancora si domandano, in molti. Ebbene, la verità è insieme semplice e complessa: e a sbagliare sono tutti coloro che hanno impugnato questo tema come un'arma contundente da usare per la lotta politica. Gli anticomunisti hanno inteso dimostrare che tutto quanto l'oro di Dongo finì nelle casse del Pci, mentre il partito di Togliatti e i suoi fiancheggiatori hanno respinto ogni addebito pretendendo di essere creduti quando affermavano: «Noi non abbiamo toccato un centesimo».In realtà, i comunisti hanno incamerato soltanto una piccola parte di quell'immenso forziere semovente bloccato dai partigiani lungo le sponde del Lario. Non perché si siano ritratti di fronte a quella che i giornali americani, al tempo, definirono come «the great Dongo's robbery» , il grande furto. Semplicemente, i comunisti, i quali controllavano le formazioni partigiane che arrestarono il Duce e i suoi fedelissimi, non fecero in tempo a impedire l'emorragia miliardaria che, in poche ore, aveva dissanguato l'intera colonna. Quando, ormai quindici anni fa, chiesi al professor Gianfranco Bianchi dove, a suo avviso, fosse finito l'oro di Dongo, il grande storico, che è stato anche mio maestro, replicò con la sua consueta vivacità: «Se lo sono preso gli abitanti del lago!». Le cose stanno effettivamente così: la popolazione locale depredò letteralmente i fascisti e i tedeschi che, in cambio di protezione per sé o per i propri famigliari, non esitarono a regalare valigie piene di banconote. Durante il fermo della colonna, molti gerarchi avevano anche provvisoriamente affidato carichi di preziosi alla gente del posto, depositandoli nelle loro abitazioni nella speranza di passare poi a ritirarli. Non immaginavano certo che sarebbero stati fucilati di lì a poco. Anche dal municipio di Dongo, dove poi si svolse la contabilizzazione del tesoro sequestrato, sparirono somme ingenti, sottratte da partigiani o da loro amici.Insomma, se si vuole, si tratta di un capitolo non bello della nostra storia patria: ma tra Musso, Dongo e i paesi vicini molte famiglie umili divennero improvvisamente ricche. Vi fu chi si costruì la villa e chi, addirittura, acquistò alberghi a Rimini. Tutto ciò, naturalmente, non toglie che il Partito comunista si sia appropriato di valori e di documenti che, semmai, avrebbero dovuto essere consegnati allo Stato. In particolare, sulla base della testimonianza del tesoriere del Pci Alta Italia, Alfredo Bonelli, che agli inizi degli anni Novanta rilasciò un'intervista a chi scrive, si sa per certo che il partito di Togliatti incamerò 30 milioni di lire e circa 36 chilogrammi di oro. Questo rilevante lotto recuperato a Dongo consentì poi al Pci di effettuare redditizie operazioni di investimento immobiliare anche speculativo, che sarebbero poi confluite nell'operazione di acquisto della sede della direzione nazionale di via delle Botteghe Oscure, a Roma. Questo è già molto, ma non è ancora tutto. I più esigenti, in genere, insistono nel voler sapere a quanto ammontasse l'oro di Dongo. E qui bisogna essere estremamente onesti: perché nessuno che non desideri pigliare in giro i lettori può fare serie asserzioni in proposito. Ci si può avventurare soltanto nelle ipotesi, nelle stime. Le testimonianze passate al vaglio degli storici consentono innanzitutto di affermare che l'ammontare complessivo dell'oro era qualcosa di veramente impressionante. Anche i valori che furono radunati nei locali del municipio di Dongo, dopo l'immenso depauperamento del tesoro avvenuto durante il fermo della colonna, costituivano una specie di faraonico deposito multimiliardario, l'equivalente di una banca di Stato: fiumi di oro, sacchi di monete e di banconote anche in divise straniere, eppoi enormi mucchi gioielli. A quanto assommassero quei valori, non è dato saperlo, anche perché le tracce contabili sono state accuratamente fatte sparire. Ma è sicuro che l'ordine di grandezza fu quello dei miliardi (dell'epoca!). Si può comprendere perciò la ragione per la quale molti avessero perso letteralmente la testa, al vedere quella montagna sfavillante. Poche volte nella storia è capitato che l'assalto alla diligenza abbia prodotto un così cospicuo bottino, anche se malamente distribuito tra i beneficiari.
Roberto Festorazzi - L'Eco di Bergamo - 25 11 03

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Ogni tanto si riaffaccia una vox populi oritana che afferma che fra coloro che arrestarono Benito Mussolini vi era un oritano, Ufficiale dell'Esercito. Qualcuno di voi sa dirmi qualcosa???
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