mercoledì 24 ottobre 2012

COL TERRORISMO PSICOLOGICO DELLE QUERELE PER DIFFAMAZIONE SI RISCHIA DI INCENTIVARE L'ANONIMATO?

Ho il presentimento che la querela del sindaco nei miei confronti possa far ritornare la moda delle "pasquinate anonime oritane" di qualche anno fa. Personalmente sono sempre stato contrario agli anonimi, ma......
 Il sociologo Emanuele Amoruso ha scritto un intervento che è stato pubblicato sul Nuovo Quotidiano di Puglia in data 25/03/2006. Lo riporto integralmente convinto che gli spunti proposti possano generare una riflessione di notevole valenza, anche per il "popolo del web". Viviamo in epoca di libertà, così appare, definita da norme che la regolano. Eppure è ugualmente diffuso il comportamento “fuori norma”. Ma c’è
qualcosa che eccede, che non può stare dentro le regole; qualcosa che si esprime attraverso “pratiche” sociali irregolari e che rimandano ai fondamenti bio-sociali dell’uomo. Tra queste, da tempo immemore, si segnalano le pratiche anonime, sotto forma di libelli, lettere ma anche, invenzione non recente se si pensa alle “pasquinate” romane, scritte sui muri dello spazio urbano. La diffusione in tutte le epoche di anonimi messaggi viene ascritta al “corvo”, epiteto che già biblicamente viene attribuito al seminatore di discordie, animale immondo, consigliere fraudolento. Il calunniatore, l’autore di diffamazioni anonime mette in pericolo la libertà del cittadino e l’onorabilità della persona? Produce un messa al bando anche di interi settori della società organizzata? Si pensi ai politici, ai partiti, alle aziende, alla magistratura, agli ordini professionali, agli sportivi ecc. Proviamo a capirci qualcosa confrontando la forma “firmata” della comunicazione e la forma “anonima”. Socialmente queste due “forme” partecipano alla individuazione-descrizione di quella cosa su cui è basato il patto sociale di fiducia reciproca tra individui, ma anche tra questi e istituzioni, ma vi concorrono in modo diverso: questa cosa è la verità, naturalmente presunta tale. Va precisato che qui non si prende in esame la forma anonima che riguarda fatti interpersonali e che resta “confinata” perché è lo stesso estensore anonimo non sceglie la sfera pubblica della sua versione della verità/contraffazione che decide di far circolare. E’ acquisizione recente, con l’affermarsi della forma democratica, che nell’ambito dello stato di diritto la diffusione delle opinioni utilizzi strumenti “pubblici” – la politica e le istituzioni, i media, la parola, la pubblicistica varia. Ma in tanti preferiscono la forma anonima con obiettivi anche molto diversificati. Per tutte e due le forme che stiamo analizzando, possiamo rintracciare un fondamento etico-morale che in qualche misura li guida. Chi scrive sui giornali, chi partecipa alla vita pubblica, attraverso anche forme organizzate, sono in genere cittadini convinti che una osservazione, una diversa interpretazione di fatti di interesse sociale può risultare utile alla stessa collettività. Costoro iscrivono il loro “dire” in uno spirito costruttivo lontano da risentimenti personali. Possiamo dire che chi preferisce l’anonimato, ma rende pubblica la “sua” versione, è sempre e soltanto motivato da risentimenti personali? Nella maggior parte dei casi è così, ma vi sono stati casi in cui l’anonimato è stato a servizio dello spirito civico. I tanti fatti di cronaca di autoritarismo politico-statuale e il malaffare pubblico, non solo nostrano, hanno avuto evidenza sociale, prima, e penale, dopo, grazie a segnalazioni anonime. Solo per citare una forma diffusa nei regimi totalitari ricordo la forma del samidzat diffusa nella ex Unione sovietica, vera e propria forma di circolazione sotterranea di letteratura anonima. Nella nostra epoca si è formalizzato il rapporto tra pubblico e privato di ognuno. Nella nostra società italiana, a differenza di società più apertamente laiche, resta una indistinzione tra le due sfere, retaggio in qualche misura della forma “confessionale” e della pratica diffusa della doppia morale: vizi privati e pubbliche virtù. Ma un’altra specificità, molto meridionale, è l’aver sentito le istituzioni statuali come prevaricazione non dell’individuo ma di certo spirito di clan, legato a retaggi antimoderni e di familismo amorale. Jurgen Habermas ha definito “l’agire comunicativo” come forma decisiva e fondante lo statuto della forma democratica, agire che avviene nella condivisione di norme procedurali cui si contrappone, come forma di resistenza non “razionale”, l’agire strumentale che tende a porre l’interlocutore, di qualsiasi natura esso sia, in una forma di asservimento e di soggezione. Vi è da sottolineare un aspetto della contemporaneità legato ai cambiamenti degli ultimi decenni dovuti alla diffusione dei mezzi di informatizzazione sociale, ed in particolare di Internet. C’è una discussione anche forte sul principio della libertà di parola e di anonimato che percorre la rete, come fattore proprio della forma democratica e di uso diffuso di questo mezzo. Le motivazioni alla base di ciò sono diverse e addirittura, come recita una sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti del 1995, deve essere garantita la tradizione di dissenso e di libera espressione in quanto :”l’anonimato è uno scudo dalla tirannia della maggioranza”. Sappiamo anche che per fini nascosti le lettere anonime vogliono delegittimare e intimidire spesso chi cerca di affermare, anche attraverso il proprio “ufficio” norme e costumi validi socialmente. E’ solo una coincidenza che quando in tanti erano analfabeti il numero delle lettere “sine auctore” fossero sicuramente meno. La calunnia però era diffusa ugualmente e, come recita il “barbiere di Siviglia”, come un venticello, “sibillando va scorrendo…nelle orecchie della gente….alla fin trabocca e scoppia”. Erano tempi migliori? Ogni epoca ha il suo dire e, con esso, le forme che si merita.
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