LETTERA DI MONS. KALEFATI A DOMENICO COTUGNO
(Edita da Nino Cortese in Napoli Nobilissima, n.s., voi. II, Napoli, Ricciardi, 1921, pp. 95-96).
Dacché mi levo sino alla notte avanzata io scrivo, esamino carte diocesane, dò udienza a tutti sodisfacente; assisto alle scuole e alle accademie Catechistica, Scientifica e di Belle Lettere nel numeroso mio Seminario; non intralascio funzione di chiesa, benché faticosa e lunga; e nelle ore tra mezzo studio su i miei libri. Fuorché andando in visita, io non esco di casa, la quale è posta nel più alto del colle principale, e in sito arioso colla Cattedrale. Il mio museo [di Napoli], dacché son vescovo di Oria, non à più avuto accrescimento, perché non o più danar mio. Cominciai subito con quello [che] posso spendere, ch'è poco assai nelle presenti circostanze; e col molto che raccoglier posso da ogni parte, e spezialmente dalla mia diocesi, a formare il Museo Oritano Diocesano, il quale penso sotto la Real Intendenza e protezione fissare in due belle stanze attaccate alla Cattedrale. Questo museo fin ora è dovizioso di dodeci monete d'oro, di più di 500 d'argento, specialmente Urbiche, di più di due in tre mila di bronzo di tutte le classi e di tutte le grandezze, includendo le duplicate e mezzo conservate, e specialmente le numerosissime dell'Impero Grecanico, che lungamente dominò in questa provincia. A ciò si aggiungono tre pietre di antica incisione racchiuse in anelli di oro di nuova manifattura, oltre un'altra decina di poco conto; da dodeci idoletti di bronzo e di creta, ed alcuni singolari, da più di centocinquanta vasi e vascoli che diconsi Etruschi, ed alcuni figurati, da circa quindici iscrizioni, e tra esse sei frammenti in lingua messapica già perduta, sperando poter formare l'alfabeto messapico, e 'l principio di qualche dizionario ancor di voci messapiche, come sinora si è lavorato sulla perduta lingua Etrusca; finalmente molte altre cosarelle, che van comprese nel così detto mondo antiquario, come dicesi mondo muliebre quanto alle donne appartiensi. Posso far dippiù per non lasciar straregnare ciocché appartiene alla nostra Nazione? Se tutti i vescovi miei compagni, di me più dotti assai e più ricchi, facessero lo stesso, avremmo più di centotrenta centri di attrazione antiquaria, per raccoglier tutto l'antico, e formar musei, per dar coltura ne' Seminari, e ne' Cleri di più di cento trenta diocesi, cioè a tutto il Regno; per rendere agli Esteri dotti necessario il girare per le nostre provincie per veder le antiche nostre rarità, giacché delle moderne ne siam privi; e così potersi col tempo formare un general museo, scegliendo il più raro dai tanti Musei Provinciali per cultura ed onore della Nazion, per illustrare la nostra storia in generale e in particolare, e per la gloria degli Augusti Sovrani. Ma ci vuol danaro e tempo; de' quali il primo oggi bisogna allo Stato, ed è giusto che io il dia per dare esempio a tutti, l'altro non è in mia podestà che mi aspetti. Ecco l'onorato esule vostro amico, ecco quello che sta facendo il vostro monsignor Kalefati. Sarebb'egli perduto in tutto, se Iddio non avesse sin dal 1734 mandato dalla Carniola un bambino di sedici mesi portato dai genitori, che perirono nella battaglia di Bitonto, e lasciato in Oria in mano della Carità cristiana di una sig.ra D. Giuditta, la quale lo adottò, lo fece istruire dal suo fratello arcidiacono Papadotero e nel Seminario lo fece ordinar sacerdote e lo fece erede di sue sostanze. Questi al presente in età di anni cinquanta, chiamato D Gasparo Messerquà per adozione Papadotero, culto assai nelle lingue Italiana, Latina e Greca nelle quali egregiamente scrive in prosa e in verso, versatissimo nella storia di tutti i secoli, critico esatto, il più eccellente matematico e filosofo della provincia, geografo e cronologo assai perito, teologo non di partito e amante dello studio a segno che poco gli resta del patrimonio ereditalo per comprar libri, è l'unico, col quale posso ragionare su tutte le cose: essendovene alcuni altri mediocri, o molto mediocri di classe. Egli naturalmente inclinato per lo antico aveva raccolte delle monete antiche e senza indirizzo, con pochi libri su questo scibile, e tra molti irrisori qualche poco avanzato aveva. Per due ore circa la sera, nelle quali soltanto ò conversazione, avendolo a me vicino e tra le mie antichità si è reso espertissimo e legge le monete, e le interpreta come un angelo. Quindi l'ho costituito can-bracco del Museo Oritano. È da ridere il vederlo per città e per campagna girare per trovar medaglie, vasi, e quante antichità si possano, perché l'ò obbligato a portar ogni sera qualche cosa, essendogli minacciati cavalli e carceri (che non merita e non se gli voglian dare) nel caso venga colle mani vuote. Gran Provvidenza di Dio! Se non avessi questo buon Tedesco italianizzato, cosa sarebbe della mia vita lungi dalla Capitale, dalle Accademie, dalle Biblioteche, dai Musei e dai dotti amici? Cosa farei, lungi dai due mari Ionio e Adriatico, su di un monte, per me non nativo, in una città di un'antichità enorme ma ridotta ad una borgata di quattromila abitanti; in un paese nobile porzione un tempo di Magna Grecia, ed oggi a stento conoscente dell’umanità? Benedetto Iddio, che con un Tedesco, tanto prima preparatomi à reso l’onorato mio esilio più dolce, e me più ilare e volenteroso nel servirlo nel gravoso sagro ministero.