Fra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo, è vissuto in Oria un personaggio meritevole di essere ricordato per le sue doti umane e per un aspetto peculiare della sua attività lavorativa. Era un “artiere”, come si diceva allora, ovvero artigiano in quanto esercitava un mestiere (allora arte) di paese. Egli svolgeva non una ma due attività: il barbiere ed il sarto ed in questo era coadiuvato dalla moglie e dai numerosi figli. Mestru Leopoldu Massa, aveva la casa-laboratorio in quell’angolo formato da Piazza Lama e Via San Lorenzo. Egli aveva in sposa Pasqualina Mazza, filatrice, la quale, morta nel novembre 1912 a soli 54 anni, aveva reso padre Mestru Leopoldu per ben 11 volte. Mestru Leopoldu aveva quel minimo di cultura che, a quei tempi, consentiva di saper scrivere ed essere un gradino più su rispetto alla stragrande maggioranza dei compaesani. A lui si rivolgevano in parecchi per chiedere consigli, per farsi scrivere le lettere da mandare ai figli soldati. Mestru Leopoldu, che amava profondamente la sua donna, rimasto vedovo a soli 60 anni, con una numerosa prole da mantenere, accudire ed educare, preferì non unirsi nuovamente con un’altra donna,
convinto e consapevole che i figli più grandi lo avrebbero aiutato.
Così fù, almeno in parte. Erano anni tristi e la prima guerra mondiale era alle porte. Il primogenito Giovannino decise di emigrare all’estero per due motivi: realizzarsi nell’ambito del lavoro ed evitare di partire soldato. Visse per qualche tempo a Nizza lavorando come barbiere, emigrando ben presto in direzione di quel nuovo mondo che era l’America. Fu uno dei pionieri dell’emigrazione italiana ed oritana in particolare verso quel continente. Si stabilì in Argentina, a Buenos Aires, subito dopo lo raggiunsero il fratello Pellegrino (detto Michelino) e la sorella Genoveffa e successivamente l’altro fratello minore Michele (detto Peppino). Giovannino e Genoveffa fissarono la loro dimora nella capitale, Buenos Aires, dove svolsero attività di parrucchieri per uomo e per donna per lunghissimi anni. Furono artieri conosciuti ed apprezzati. Grazie al loro spirito imprenditoriale, aprirono una scuola per parrucchieri alla quale diedero il nome di. (Pelo = capello in lingua spagnola - FA.MA. = famiglia Massa). Pellegrino preferì spostarsi al nord, aprendo anch’egli una barberia. L’altro fratello minore, Michele, si stabilì a Buenos Aires, ma di lui, purtroppo si conosce poco e niente. Fù Leonzia a fare da mamma alle cinque sorelle minori rimaste a Oria (Maria di Gesù detta Marietta, Giuseppa Antonia detta Peppina, Emma Epifania detta Gemma, Ottavia e Benedetta). L’effetto America attirò, soprattutto per necessità, anche i giovani rampolli. Nel 1930 i due figli maggiori di Leonzia, Michele e Lucrezia, rispettivamente di appena 15 e 17 anni, s’imbarcarono a Napoli sulla motonave Martha Washington in direzione anch’essi Argentina. Furono accolti dagli zii Giovannino e dalla zia Genoveffa i quali, sposatisi rispettivamente, non avevano avuto la fortuna di mettere al mondo figli. Lucrezia e Michele lavorarono come parrucchieri alle dipendenze degli zii. Michele subentrò nella gestione dell’attività quando zio Giovannino e zio Genoveffa, stanchi della vita nella capitale, decisero di andare a vivere in campagna. Nel 1950 un altro giovane, discendente di Mestru Leopoldu, Emanuele Cozzetto, figlio di Ottavia Massa, anch’egli attratto da quel nuovo mondo dell’America e calamitato dal brillante carisma dello zio Giovannino, decise di attraversare i profondi mari oceanici a bordo della motonave Tropea per approdare in quelle terre, ormai seconda patria di tanti italiani ed oritani. Lasciò ad Oria la giovane fidanzata con la promessa di tornare presto ad Oria, ricco come un Americano.
Così non fù, Emanuele non è mai più tornato in Italia, è morto nel 1980, poco più che cinquantenne a seguito di infermità. Emanuele, anch’egli barbiere, cominciò a guadagnarsi il pane già sulla nave, tagliando barba e capelli ai tanti compagni di viaggio. Giunto a Buenos Aires Emanuele cominciò a fare i conti con l’amara realtà: non era l’America che aveva sognato, le cose lì andavano ormai male per tutti, l’Argentina era in declino, dovette rimboccarsi le maniche e sgobbare duro per sopravvivere. Lo zio Giovannino, ormai invecchiato, non poteva essergli di aiuto. Proprio a causa dei sacrifici e della vita di stenti Emanuele ben presto si ammalò. Superò quei momenti grazie all’amore e le cure dell’amata Anna (di origini italiane), con la quale si sposò e dal cui matrimonio nacquero Daniel e Walter. La sua attività di barbiere gli consentì di vivere dignitosamente, ma non riuscì mai a coronare il sogno di ritornare in Italia.
convinto e consapevole che i figli più grandi lo avrebbero aiutato.
Così fù, almeno in parte. Erano anni tristi e la prima guerra mondiale era alle porte. Il primogenito Giovannino decise di emigrare all’estero per due motivi: realizzarsi nell’ambito del lavoro ed evitare di partire soldato. Visse per qualche tempo a Nizza lavorando come barbiere, emigrando ben presto in direzione di quel nuovo mondo che era l’America. Fu uno dei pionieri dell’emigrazione italiana ed oritana in particolare verso quel continente. Si stabilì in Argentina, a Buenos Aires, subito dopo lo raggiunsero il fratello Pellegrino (detto Michelino) e la sorella Genoveffa e successivamente l’altro fratello minore Michele (detto Peppino). Giovannino e Genoveffa fissarono la loro dimora nella capitale, Buenos Aires, dove svolsero attività di parrucchieri per uomo e per donna per lunghissimi anni. Furono artieri conosciuti ed apprezzati. Grazie al loro spirito imprenditoriale, aprirono una scuola per parrucchieri alla quale diedero il nome di. (Pelo = capello in lingua spagnola - FA.MA. = famiglia Massa). Pellegrino preferì spostarsi al nord, aprendo anch’egli una barberia. L’altro fratello minore, Michele, si stabilì a Buenos Aires, ma di lui, purtroppo si conosce poco e niente. Fù Leonzia a fare da mamma alle cinque sorelle minori rimaste a Oria (Maria di Gesù detta Marietta, Giuseppa Antonia detta Peppina, Emma Epifania detta Gemma, Ottavia e Benedetta). L’effetto America attirò, soprattutto per necessità, anche i giovani rampolli. Nel 1930 i due figli maggiori di Leonzia, Michele e Lucrezia, rispettivamente di appena 15 e 17 anni, s’imbarcarono a Napoli sulla motonave Martha Washington in direzione anch’essi Argentina. Furono accolti dagli zii Giovannino e dalla zia Genoveffa i quali, sposatisi rispettivamente, non avevano avuto la fortuna di mettere al mondo figli. Lucrezia e Michele lavorarono come parrucchieri alle dipendenze degli zii. Michele subentrò nella gestione dell’attività quando zio Giovannino e zio Genoveffa, stanchi della vita nella capitale, decisero di andare a vivere in campagna. Nel 1950 un altro giovane, discendente di Mestru Leopoldu, Emanuele Cozzetto, figlio di Ottavia Massa, anch’egli attratto da quel nuovo mondo dell’America e calamitato dal brillante carisma dello zio Giovannino, decise di attraversare i profondi mari oceanici a bordo della motonave Tropea per approdare in quelle terre, ormai seconda patria di tanti italiani ed oritani. Lasciò ad Oria la giovane fidanzata con la promessa di tornare presto ad Oria, ricco come un Americano.
Così non fù, Emanuele non è mai più tornato in Italia, è morto nel 1980, poco più che cinquantenne a seguito di infermità. Emanuele, anch’egli barbiere, cominciò a guadagnarsi il pane già sulla nave, tagliando barba e capelli ai tanti compagni di viaggio. Giunto a Buenos Aires Emanuele cominciò a fare i conti con l’amara realtà: non era l’America che aveva sognato, le cose lì andavano ormai male per tutti, l’Argentina era in declino, dovette rimboccarsi le maniche e sgobbare duro per sopravvivere. Lo zio Giovannino, ormai invecchiato, non poteva essergli di aiuto. Proprio a causa dei sacrifici e della vita di stenti Emanuele ben presto si ammalò. Superò quei momenti grazie all’amore e le cure dell’amata Anna (di origini italiane), con la quale si sposò e dal cui matrimonio nacquero Daniel e Walter. La sua attività di barbiere gli consentì di vivere dignitosamente, ma non riuscì mai a coronare il sogno di ritornare in Italia.
Merita particolare interesse un accenno ai discendenti di Pellegrino (detto Michelino), il quale a San Miguel de Tucuman espletava attività di parrucchiere. Egli si sposò con l’italiana Lucia Fabbri dalla quale ebbe tre figli: Jean Luis, Vicente e Leopoldo. Del primo si hanno pochissime notizie; del secondo possiamo dire che tuttora vive in quella città e che è una persona straordinaria, dotato di spiccata intelligenza. Attualmente in pensione, laureato in Scienze Economiche, è stato per anni Professore presso l’omonima Facoltà dell’Università di Tucuman, della quale si vanta di essere uno dei fondatori. Leopoldo, anch’egli parrucchiere, sposò Elvira Luppo (di origini italiane) dalla quale ebbe due figli: Silvia e Leopoldo junior. Stranezza della vita: Leopoldo Massa junior (di 54 anni) nella centralissima Calle Cordoba di San Miguel de Tucuman è titolare di una rinomata parruccheria per donna … figlio d’arte quindi!!! Classico esempio di mestiere tramandato da padre in figlio.
A distanza di un secolo tutto continua, non solo quel mestiere dell’artiere che Mestru Leopoldu da Oria aveva tramandato ai figli, ma anche il “rispetto al nome” che egli portava. La speranza che ciò possa continuare ancora nel tempo, oggi è riposta nei due figlioletti di Leopoldo da Tucuman: Maximilian e Sebastian, nati dal matrimonio con la bella Norma.
Di Michele Massa (detto Peppino) stabilitosi a Buenos Aires si hanno pochissime notizie. L’unico dato certo è che in quella capitale tuttora vive un suo figlio: Ubaldo ultraottantenne (sembra che sia un ricco imprenditore).
L’altro aspetto interessante dell’intera vicenda con particolare riguardo alla ricostruzione di due rami dell’albero genealogico discendente dalla coppia Leopoldo Massa-Pasqualina Mazza, ovvero relativi a Pellegrino (detto Michelino) e a Michele (detto Peppino) è la circostanza che ad Oria nessuno fra i parenti sapeva dell’esistenza dei due. La scoperta è stata fatta da me qualche anno fa grazie a delle foto ingiallite rinvenute anni addietro in casa di mio zio Pasquale, il quale le aveva recuperate qualche decennio addietro dalla casa dei suoi genitori, ovvero i miei nonni materni. Mia madre, Anna Maria Ariano (che tutti però chiamavano Sina) era figlia di Leonzia Massa e quindi sorella di Pasquale. Sul retro di una di dette foto, molto piccola e sbiadita, datata Buenos Aires 1933 era scritto: “questa foto l’abbiamo fatta sulla terrazza insieme allo zio Michelino”. Sul retro di un’altra foto inviata da Buenos Aires che ritraeva due giovani uomini vi era scritto: “amata sorella se non fosse per la guerra verrei ad Oria, qui sta per scoppiare il caldo infernale; salutimi canatuma Cicciu: cce ni mangia chiui carni ti cani cu Marsanofiu Caroni?” Ciccio (soprannominato la pizzenti) era il marito di Leonzia Massa.
Grazie a questi due indizi, ho potuto sviluppare e approfondire ricerche che mi hanno portato alla scoperta sia del filone di Tucuman che dell’esistenza di Ubaldo Massa (figlio di Michele, detto Peppino).
Il tutto è stato coronato da un viaggio (14 ore consecutive di volo aereo), che ho effettuato in Argentina nel 2005 insieme a mio cugino Tonino Ariano. E’ stato così che questi argentini nelle cui vene scorre sangue Massa, sangue oritano, dopo tanti anni hanno potuto conoscere ed abbracciare due cugini italiani, ovvero oritani.
Particolare curioso: i cugini di Buenos Aires e di Tucuman, non avevano reciproca conoscenza, i rapporti si erano interrotti con la morte dei loro genitori ed oggi, dopo la visita dei cugini oritani, sono nuovamente in contatto.
L’unico rammarico per noi due, è stato quello di non riuscire a parlare con il lontano cugino Ubaldo Massa (figlio di Michele detto Peppino) il quale ha rifiutato di aprire la porta della sua casa nel timore, forse, di imbattersi in dei malfattori. Ciò forse nella consapevolezza di possedere ricchezze superiori alla media degli argentini, che potrebbero stuzzicare l’appetito di delinquenti. La fame e la miseria in Argentina è tanta ed altrettanta numerosa è la delinquenza. Ogni giorno vengono aggrediti ed ammazzati anziani, per un pugno di pesos. Al signor Walter portiere del condominio di Ubaldo è stata però lasciata una pergamena riportante l’estratto dell’atto di nascita del genitore Michele ed una lettera di saluti, entrambe firmate dall'allora sindaco di Oria, Prof. Cosimo Moretto.
Altre pergamene e lettere di saluti, degli amministratori di Oria, sono state consegnate a quasi tutti i discendenti di oritani incontrati in Argentina, insieme ad un decoupage realizzato con una bellissima foto panoramica di Oria oggi (che è stata immediatamente appesa con orgoglio ad una parete della propria casa).
Giova aggiungere che, negli anni ’50, a Buenos Aires vi era una vera e propria comunità di oritani che si incontravano spesso specie in occasione di speciali ricorrenze, che nella loro Oria venivano solennizzate da grandi banchetti: matrimoni, Cresime, Prime Comunioni. Oltre alle persone sopra citate si è appreso che in quel periodo viveva in Buenos Aires Antonio Patisso (tuttora vivente, domiciliato a Roma, soprannominato Fanizza, fratello del più conosciuto e compianto concittadino Gino Fanizza, macellaio). Vengono ricordati, tra i nostri compaesani argentini, i fratelli Antimo, Cosimo ed Antonio Pomarico, Artigiani. Antimo fabbricava flauti, mentre Antonio bocchini per flauti. Cosimo per 10 anni è stato primo clarinetto e solista al Teatro Colon di Buenos Aires e fondatore della Ditta Pomarico che da 60 anni produce in Italia bocchini di cristallo per clarinetto (cliccare QUI).
Un altro oritano che allora viveva a Buenos Aires era Salvatore (detto Tore) Di Summa, il quale lavorava nella fabbrica che produceva in loco la mitica moto Lambretta Innocenti e nel contempo gestiva un ristorante. Tore è tuttora vivente; vive a Martina Franca e solo a sentire la parola Argentina gli si illuminano gli occhi; se gli capita di poter parlare con qualcuno di quel periodo della sua vita lo fa parlando prevalentemente il castellano (la variante dell’idioma spagnolo che si parla in Argentina); dopo un po’ ….. immancabili le lacrime sul suo viso.
Vi siete stancati a leggere?
A distanza di un secolo tutto continua, non solo quel mestiere dell’artiere che Mestru Leopoldu da Oria aveva tramandato ai figli, ma anche il “rispetto al nome” che egli portava. La speranza che ciò possa continuare ancora nel tempo, oggi è riposta nei due figlioletti di Leopoldo da Tucuman: Maximilian e Sebastian, nati dal matrimonio con la bella Norma.
Di Michele Massa (detto Peppino) stabilitosi a Buenos Aires si hanno pochissime notizie. L’unico dato certo è che in quella capitale tuttora vive un suo figlio: Ubaldo ultraottantenne (sembra che sia un ricco imprenditore).
L’altro aspetto interessante dell’intera vicenda con particolare riguardo alla ricostruzione di due rami dell’albero genealogico discendente dalla coppia Leopoldo Massa-Pasqualina Mazza, ovvero relativi a Pellegrino (detto Michelino) e a Michele (detto Peppino) è la circostanza che ad Oria nessuno fra i parenti sapeva dell’esistenza dei due. La scoperta è stata fatta da me qualche anno fa grazie a delle foto ingiallite rinvenute anni addietro in casa di mio zio Pasquale, il quale le aveva recuperate qualche decennio addietro dalla casa dei suoi genitori, ovvero i miei nonni materni. Mia madre, Anna Maria Ariano (che tutti però chiamavano Sina) era figlia di Leonzia Massa e quindi sorella di Pasquale. Sul retro di una di dette foto, molto piccola e sbiadita, datata Buenos Aires 1933 era scritto: “questa foto l’abbiamo fatta sulla terrazza insieme allo zio Michelino”. Sul retro di un’altra foto inviata da Buenos Aires che ritraeva due giovani uomini vi era scritto: “amata sorella se non fosse per la guerra verrei ad Oria, qui sta per scoppiare il caldo infernale; salutimi canatuma Cicciu: cce ni mangia chiui carni ti cani cu Marsanofiu Caroni?” Ciccio (soprannominato la pizzenti) era il marito di Leonzia Massa.
Grazie a questi due indizi, ho potuto sviluppare e approfondire ricerche che mi hanno portato alla scoperta sia del filone di Tucuman che dell’esistenza di Ubaldo Massa (figlio di Michele, detto Peppino).
Il tutto è stato coronato da un viaggio (14 ore consecutive di volo aereo), che ho effettuato in Argentina nel 2005 insieme a mio cugino Tonino Ariano. E’ stato così che questi argentini nelle cui vene scorre sangue Massa, sangue oritano, dopo tanti anni hanno potuto conoscere ed abbracciare due cugini italiani, ovvero oritani.
Particolare curioso: i cugini di Buenos Aires e di Tucuman, non avevano reciproca conoscenza, i rapporti si erano interrotti con la morte dei loro genitori ed oggi, dopo la visita dei cugini oritani, sono nuovamente in contatto.
L’unico rammarico per noi due, è stato quello di non riuscire a parlare con il lontano cugino Ubaldo Massa (figlio di Michele detto Peppino) il quale ha rifiutato di aprire la porta della sua casa nel timore, forse, di imbattersi in dei malfattori. Ciò forse nella consapevolezza di possedere ricchezze superiori alla media degli argentini, che potrebbero stuzzicare l’appetito di delinquenti. La fame e la miseria in Argentina è tanta ed altrettanta numerosa è la delinquenza. Ogni giorno vengono aggrediti ed ammazzati anziani, per un pugno di pesos. Al signor Walter portiere del condominio di Ubaldo è stata però lasciata una pergamena riportante l’estratto dell’atto di nascita del genitore Michele ed una lettera di saluti, entrambe firmate dall'allora sindaco di Oria, Prof. Cosimo Moretto.
Altre pergamene e lettere di saluti, degli amministratori di Oria, sono state consegnate a quasi tutti i discendenti di oritani incontrati in Argentina, insieme ad un decoupage realizzato con una bellissima foto panoramica di Oria oggi (che è stata immediatamente appesa con orgoglio ad una parete della propria casa).
Giova aggiungere che, negli anni ’50, a Buenos Aires vi era una vera e propria comunità di oritani che si incontravano spesso specie in occasione di speciali ricorrenze, che nella loro Oria venivano solennizzate da grandi banchetti: matrimoni, Cresime, Prime Comunioni. Oltre alle persone sopra citate si è appreso che in quel periodo viveva in Buenos Aires Antonio Patisso (tuttora vivente, domiciliato a Roma, soprannominato Fanizza, fratello del più conosciuto e compianto concittadino Gino Fanizza, macellaio). Vengono ricordati, tra i nostri compaesani argentini, i fratelli Antimo, Cosimo ed Antonio Pomarico, Artigiani. Antimo fabbricava flauti, mentre Antonio bocchini per flauti. Cosimo per 10 anni è stato primo clarinetto e solista al Teatro Colon di Buenos Aires e fondatore della Ditta Pomarico che da 60 anni produce in Italia bocchini di cristallo per clarinetto (cliccare QUI).
Un altro oritano che allora viveva a Buenos Aires era Salvatore (detto Tore) Di Summa, il quale lavorava nella fabbrica che produceva in loco la mitica moto Lambretta Innocenti e nel contempo gestiva un ristorante. Tore è tuttora vivente; vive a Martina Franca e solo a sentire la parola Argentina gli si illuminano gli occhi; se gli capita di poter parlare con qualcuno di quel periodo della sua vita lo fa parlando prevalentemente il castellano (la variante dell’idioma spagnolo che si parla in Argentina); dopo un po’ ….. immancabili le lacrime sul suo viso.
Vi siete stancati a leggere?