domenica 1 febbraio 2009

Oria - Inaugurazione Monumento Caduti sul Lavoro

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Mai più incidenti sul lavoro!
di S.E. Mons. Michele Castoro Vescovo della Diocesi di Oria
Le chiamano "morti bianche". Ma per le mamme, le mogli e i figli che non vedranno più tornare a casa il loro figliolo, il loro sposo o il loro papà, quelle morti sono nere, anzi nerissime.
In Italia gli incidenti sul lavoro provocano in media ben quattro vittime al giorno, senza contare i tanti lavoratori feriti negli infortuni e quelli che restano invalidi a vita.
E la lista, purtroppo, non finisce mai di allungarsi. Ma l'economia può forse puntare solo all'efficienza, al profitto, alla competitività? Come osserva Papa Benedetto XVI: "è preciso dovere degli imprenditori anche il concreto rispetto della dignità umana dei lavoratori che operano nell'impresa: essi costituiscono il patrimonio più prezioso dell'azienda, il fattore decisivo della produzione". La persona umana non è mai un mezzo, ma è sempre un fine. Davanti poi al bene assoluto della vita tutto il resto si ridimensiona e diventa secondario. Scrivevano i Vescovi italiani in un messaggio per la Giornata della vita: "La vita è il primo e più prezioso bene per ogni essere umano. Dall'amore scaturisce la vita e la vita desidera e chiede amore".
Occorre allora compiere ogni sforzo perché le tragedie delle morti sul lavoro non si ripetano, o almeno - data l'inevitabilità dell'imprevisto - si riducano al minimo. Ognuno è chiamato a fare la sua parte, fino in fondo: gli imprenditori a porre in essere ogni adeguata protezione, i sindacati a impegnarsi strenuamente anche su questo fronte, le istituzioni a emanare ed aggiornare norme e sanzioni severe, i mass-media a tener vivo nell'opinione pubblica questo tema, i responsabili della sicurezza a compiere le ispezioni con ogni scrupolo, la Chiesa a far risuonare con più forza il rispetto della dignità umana, gli stessi lavoratori a non omettere mai le necessarie precauzioni a causa di pigrizia o di un'eccessiva sicurezza di sé (nel novembre scorso, in appena 20 giorni si sono registrati in una sola provincia 3 incidenti mortali a seguito della caduta da piante di ulivo).
Il monumento alle vittime del lavoro che la città di Oria, col contributo dell'artista Antonio Caragli, si appresta ad erigere, stimoli tutti a non sottovalutare questo scottante problema e costituisca un vivo monito: guai se di fronte ad altre morti dovessimo interrogarci se abbiamo fatto adeguatamente tutto il possibile! Il mio auspicio è che il lavoro, principio di dignità, aiuti l'uomo sempre e soltanto a realizzare la sua vocazione originaria: quasi continuando la creazione, rendere il mondo più bello.
Vicino a ciascuno con affetto paterno, in particolare ai familiari delle vittime, di cuore benedico.

Un monumento «che fa ricordare» (di Cosimo Ferretti Sindaco della Città di Oria)
Sono stato e continuo ad essere a contatto diretto con lavoratori. Conosco bene il mondo del lavoro e i problemi dei lavoratori, le ansiose preoccupazioni e, purtroppo, anche la cupa angoscia e il dolore straziante dei loro cari improvvisamente travolti dalla sventura, che talvolta si abbatte brutalmente sulle persone e su ciò che esse hanno faticosamente costruito giorno dopo giorno. Non si può rimanere a occhi asciutti davanti a una creatura umana disperata che non ha più lacrime per piangere l'atroce realtà della sua famiglia dilacerata. In quella casa le persone hanno subito un taglio crudele ed è stato aperto un vuoto, si è incuneata una assenza. Gli occhi che ti guardano sono come impietriti. Chi era non è più. Ma nel cuore c'è e ci sarà sempre. E dal cuore sgorga il desiderio della rimembranza affettuosa, il desiderio di qualcosa che esprima visibilmente gli affetti sulla concretezza della materia, cioè il ritratto, il ricordino con fotografia, il sepolcro, il monumento. La parola "monumento" significa propriamente ciò «che fa ricordare». La statua è un monumento, voluto e costruito per far ricordare. Le statue si modellano per far ricordare o un sola persona o un gruppo o un più ampio insieme di persone o addirittura, una comunità cittadina. In tal modo la statua acquista pregnanza di significati e di valori, che vengono esaltati dalla sensibilità sociale. Questa statua, offerta da una famiglia che condivide il dolore di altre famiglie, questa statua traspira solidarietà umana, e pertanto il popolo la sente sua. La statua è simbolo del popolo che vuol ricordare. La statua diventa monumento cittadino. Il Sindaco di Oria, profondamente commosso dalla esemplare ricchezza umana e civica, ringrazia con animo grato la famiglia Penta e il giovane scultore Antonio Caragli, il quale ha saputo esprimere plasticamente il dramma assurdo che ancora oggi incombe sui lavoratori nei luoghi di lavoro. Una famiglia ha voluto e ha realizzato il monumento. L'Amministrazione Comunale sente il dovere di onorarlo e conservarlo alla memoria della comunità cittadina.

Quando l'arte nasce dalla sofferenza (di Vincenzo Sparviero Giornalista e scrittore)
Un viaggio onirico, alla ricerca di un equilibrio spesso irraggiungibile e al tempo stesso agognato: impossibile, ma quasi a portata di mano.
La prima opera monumentale di Antonio Caragli nasce da un dramma intimo che coinvolge quasi per caso l'Artista, ma che finisce per trasformarlo nell'ideale interprete di quello che può essere certamente definito un dolore universale.
L'idea centrale è quella del "Lavoro", condizione necessaria per raggiungere qualunque obiettivo professionale ma anche umano. Un «lavoro» che perfino nella tragedia diventa l'esaltazione di uno stato d'animo.
Un'incudine e un martello, metafore dal suono metallico di una vita faticosa e dura che si snoda intorno ad un percorso irto di insidie, ma mai sterile di soddisfazioni e gioie. Attrezzi di un mestiere che può perfino portare alla morte, ma che paradossalmente significano vita. Tra i due elementi, in primo piano, qualcosa di più di una figura umana. In un volto che sembra emergere da una radicata cultura che ha origini antiche c'è la storia millenaria dell'Uomo, che resta ancorato alle sue radici più profonde e che cerca costantemente una nuova verità: anche quando questa si scopre matrigna, più che materna.
Nell'opera di Caragli ci sono i classici, sia pure fusi con una modernità impressionante per il crudo realismo che trasuda da ogni parte del suo lavoro. Bisogna osservare la scultura in ogni suo dettaglio per capire esattamente cosa si celi dietro ogni particolare, anche quello che appare trascurabile.
Lo scarpone di lavoro («conquista» di tante battaglie nel nome di una sicurezza mai garantita) si contrappone al piede nudo e la dice lunga sull'inevitabile dicotomia della vita: sempre orientata verso il bene, ma che è costretta a convivere con le insidie del male. Una vita che si divide costantemente per poi provare a ritrovarsi. Ma in quella diversità scorre anche il tempo, che tutto trasforma senza nulla cambiare.
Quella figura che sembra poggiare sull'incudine è un simbolo che non può lasciare indifferenti, a cominciare dalla posizione. Il suo protendersi in avanti, restando in qualche modo ancorato alle radici, è il segno di una volontà di cambiamento che resta nei sogni più che sconfinare nella realtà. Sogni che appartengono a tutti e che rendono la vita meno difficile, solo quando sono sostenuti dalla speranza di una metamorfosi che pure qualche volta è possibile. Sogni che, talvolta, si interrompono all'improvviso e contro la nostra volontà lasciando un vuoto angosciante nel quale è facile smarrirsi.
Come sembra smarrirsi lo sguardo attonito ma deciso - di chi ha in mano i ferri del mestiere come l'antico gladiatore impugnava la spada. Caragli, con la sua opera, riesce a cogliere una speranza. È tutta nella perfezione di una sfera che è al centro del (suo) mondo, attorno alla quale ruota un universo pronto a vivere di luce propria anche quando tutto intorno è avvolto dalle tenebre. In quella sfera si manifesta un equilibrio interiore basato su esperienze fondanti e assolutamente necessarie nel nostro mondo, in cui non esiste più tradizione e siamo soggetti a continui cambiamenti che non sempre riusciamo a controllare.
Tutto intorno, le mani dell'Artista plasmano la figura umana quasi con sofferenza, facendo emergere particolari che la rendono viva: quasi come si muovesse in un mondo tutto suo, ma che appartiene a tutti. Un'opera d'arte che - nella sua crudezza -ha qualcosa di spirituale che Caragli trasmette partendo da una tragedia per arrivare a una speranza.


Antonio Caragli, nasce a Oria (Br) il 25 novembre 1968, dove vive ed opera. Si avvicina alla scultura studiando i grandi del '500 e del '900 italiano. L'uomo e soprattutto lo scultore che con pazienza infinita, si prodiga a dirozzare i diversi materiali, (legno, pietra, argilla, gesso, ferro e bronzo) elevandolo ad opere d'arte facendo emergere alla ratio del suo discorso plastico, l'uomo e il suo vissuto. Forte di un'autonomia intellettuale già raggiunta, è considerato tra i più significativi artisti di ultima generazione. E' presente da oltre quindici anni nel panorama artistico, partecipando a mostre e ad eventi nazionali, riscuotendo notevole successo di pubblico e critica. Le sue opere si trovano in collezioni pubbliche e private, molte delle quali rivolte al sacro.

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