CATTEDRALE (fonte: libro sulla toponomastica del dr. Pasquale Spina)
Per gli oritani la Cattedrale era la Chiesa per antonomasia e fino a non moltissimi anni fa l’unica parrocchia (vedi nota 359 in calce) della città e, di conseguenza, fulcro della vita religiosa e sociale dell’intera comunità. Tutto il lato est della piazza è occupato dalla facciata barocca della Cattedrale, dalla Torre dell’orologio e dall’arco che collega quest’ultima con l’Episcopio.
Più o meno allo stesso posto, ma con una superficie occupata molto minore, doveva trovarsi la cattedrale romanica distrutta, non dal terremoto del 20 febbraio del 1743, ma dal vescovo Castrese- Scaja.
Il terremoto a Oria non fu particolarmente violento: non ci fu nessuna vittima e, tranne il campanile della cattedrale (vedi nota 360 in calce), pochissimi edifici subirono seri danni. Non ci si accorge dopo sette anni dal terremoto che l’edificio della cattedrale presenta danni talmente gravi che è necessario il suo abbattimento. I veri motivi della distruzione della cattedrale romanica non sono strutturali, ma antropologici. Tendenze artistiche, culturali e comportamentali proprie del periodo storico si unirono con la situazione particolare che attraversava la chiesa oritana e determinarono la necessità di avere una chiesa cattedrale consona alle esigenze del secolo.
Quello che in altri posti si era già verificato qualche anno prima, ad Oria si realizza nei cinquanta anni centrali del XVIII secolo: la tendenza ad accrescere le dimensioni delle chiese si affermò sia nelle città che nei centri minori, e non soltanto per ragioni demografiche. La religiosità doveva per quanto possibile trovare posto e cornice adatta nel tempio: per le funzioni solenni, le prediche quaresimali e quelle che scandivano il ciclo liturgico occorrevano spazi vasti, capaci di accogliere folle numerose o almeno la totalità dei fedeli del luogo (vedi nota 361 in calce).
Tra il 1718, i Celestini e il 1774, i Conventuali tutti gli ordini monastici presenti a Oria, tranne i Missionari che, per la loro predicazione usano le chiese degli altri, costruiscono, o ampliano, o in ogni caso, adeguano le loro chiese alle nuove correnti artistiche. Il Vescovado, che usciva in quegli anni dal periodo più oscuro, l’episcopato di mons. Labanchi, che avesse attraversato dalla separazione dalla Chiesa brindisina, non poteva essere da meno: il Vescovo non può celebrare i suoi riti sfarzosi e pregni di segni simbolici miranti alla ostentazione del riacquistato potere, in quella piccola, semplice, insignificante cattedrale. Oltretutto, la cattedrale col terremoto ha perso il suo altissimo campanile per cui il simbolo del potere episcopale non è più visibile dagli oritani e dal viaggiatore che ad Oria si avvicina: è necessario contrapporre all’odiato simbolo del potere temporale, il Castello, una turgida, policroma e imponente cupola.
Ci sono, poi, le condizioni ambientali favorevoli: Michele IV Imperiale risiede, ora, stabilmente a Napoli (vedi nota 362 in calce) e, impegnato com’è nelle più alte cariche di Corte e nei suoi faraonici ricevimenti, non ha più il tempo e la voglia di intromettersi negli affari del suo feudo. Gli oritani non possono tollerare che i loro grandi rivali di sempre, i francavillesi, abbiano cominciato a costruire, questa sì immediatamente subito dopo il terremoto (vedi nota 363 in calce), una maestosa Collegiata e sono, pertanto, tutti con il nuovo vescovo.
Infine il ruolo fondamentale di Castrese-Scaja che, da napoletano, sa come ottenere l’appoggio dei Borboni: gli studiosi locali si sono accapigliati per anni sulla famosa questione delle colonne di granito che dalla Cattedrale andarono a finire ai Borboni: è assolutamente ininfluente stabilire se furono regalate o vendute e, nel caso di quest’ultima ipotesi, se per 800 oppure 8000 ducati (vedi nota 364 in calce). Castrese-Scaja sa che per ottenere il placet alla costruzione della Cattedrale, e magari anche un finanziamento, non si può presentare ai Borboni a mani vuote.
La costruzione della nuova Cattedrale è, quindi, inevitabile e per dare una svolta definitiva al nuovo corso è necessario cancellare le tracce del passato. Avviene così che, oltre al danno al patrimonio architettonico, un altro ancora più grande viene commesso al patrimonio storico-culturale della comunità oritana: nella vecchia cattedrale erano custoditi i monumenti funebri degli oritani più illustri fino ad allora vissuti. Castrese-Scaja distrugge con rigore scientifico ogni minimo particolare delle tombe custodite nella nostra piccola Santa Croce. Le pagine più belle della storia dell’Albanese sono quelle in cui descrive questi monumenti: li racconta con dovizia di particolari e si esalta di fronte ad essi, quasi presagio che gli oritani che sarebbero venuti dopo di lui non li avrebbero potuti vedere.
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359 La parrocchia di S. Francesco d’Assisi e quella di San Domenico furono erette canonicamente il 22-8-1947 da mons. Ferdinando Bernardi, Amministratore Apostolico, la sede vescovile era vacante per la morte di mons. Di Tommaso, mentre la parrocchia di S. Francesco di Paola fu eretta canonicamente il 1-10-1976 da mons. Alberico Semeraro.
360 A cinque giorni dal terremoto, il 25 febbraio 1743, il notaio Damiano Priore si reca da mons. Labanchi per presentargli un’istanza protestativa da parte del sindaco Nicola Sarli che intende cautelarsi dagli eventuali danni derivanti dal crollo del campanile lesionato dal terrìbile castigo del terremoto. Non è facile capire dalle parole del notaio Priore quale fosse la reale entità dei danni subiti dal campanile: da un lato, forse per sollecitare un pronto intervento del vescovo, viene presentata una situazione quasi catastrofica: qual'ora mai questo (il campanile) precipitasse, tocche' Dio non voglia, in tal caso, non solamente, che danneggia tutte le campane, ma il corpo della Chiesa Cattedrale rovinata ne verrebbe; ed altresì [qui il notaio si supera] ne sortirebbe un positivo danno di buona parte delle fabbriche di questa cittade. Subito dopo il notaio minimizza le precedenti affermazioni quando dice che basterebbe, volendosi riparare a tanti immensi danni, perìcoli e rovine, ben volentieri col demolirsi in parte detto campanile, il tutto si levaria da mezzo. Anche se non è influente per la nostra storia, è interessante sapere che il vescovo rispose al solerte notaio che non era a lui che doveva rivolgersi, ma all’economo della Mensa. Cfr. anche AVO, Conclusione Capitolare, del 27 febbraio 1743.
361 M. Moran - J. Andrés-Gallego, Il predicatore, in L’uomo barocco, a cura di R. Villari, Roma-Bari 2001, pp. 143-4.
362 cfr.: H. Acton, I Borboni di Napoli, Firenze 1997, p.35.
363 cfr.: P. Palumbo, Storia di Francavilla Fontana, Noci 1901, pp. 239-41. Il Palumbo dice che il 15 agosto 1743 fu posta la prima pietra della Collegiata.
364 cfr.: Errico, Cenni, p. 195; Marcella, Ricordi, p. 89; F. Conti, Luci di gloria - Memorie storiche, Oria 1948, pp.32-3.